Mossa vagamente underground o pensata fuori dalla frenesia di un rapporto tra la contemporaneità e le immagini basato spesso sull’immediatezza coltivare la quiete fino a farne una situazione pittorica “ambientale”, coercitiva fino al punto di poter essere considerata conditio sine qua non per buona parte della produzione di un artista. Ma è seguendo questo procedimento “improprio” che Stefano Borroni s’è ritrovato protagonista in una pittura di netta evidenza meditativa, nella quale l’espressività pura è già stata superata da una tracciatura riflessiva spandente, che dai luoghi rimbalza su soggetti e complementi narrativi. Fissandosi in ultimo sul tempo, divenendo immagine di una melanconia non appassita, fatta di situazioni vivibili e persone in cui riconoscersi, movimenti -attimi che si guadagnano la loro meritata eternità ripetendosi giorno per giorno.
È quel sentore d’eterno, immutabile e imperturbabile alla vista, che si riflette in un grigiore (virato talvolta ad una fotografica tonalità seppia) in cui non c’è negazione cromatica, ma la facoltà dell’artista di gelare l’istante preso, bloccarlo nella visione collettiva, lasciarlo immobile nell’invariabilità delle sue marcate luci e ombre.
Tono seppia che chiede nuova attenzione, poiché coerente con una pittura tesa a catturare fotograficamente l’istante dato, da cima a fondo, riportando con precisione l’immagine; e doppiamente coerente quando, allargato il proprio spettro cromatico, l’artista mette la stessa immagine alla funzione di una misura tonalmente poco satura, in verità perfettamente ghirriana. Svicoliamo subito da ogni sorta di equivoco: definire “fotografica” la pittura di Borroni non comprende solo fattori connessi a situazioni stilistiche, opinabili quanto si vuole; al contrario tale aggettivazione è determinante per tracciare l’ipotetica “filiera concettuale” delle sue immagini. Ghirriano (quindi legato ancora all’istantanea d’autore) infatti è il piacere di selezionare una complessità visiva tale da mettersi in condizione di “parlare per immagini”, cercando modalità di visione allegorico-contemporanee che arrivino a formare percorsi in cui la figurazione sia affare di pubblico dominio, e non solo di chi la fa.