Lepre Rodolfo

opere proposte

critica

Non si può dire che l’uso della materia non sia elemento e concetto portante, nel lavoro di Rodolfo Lepre. Proprio la materia, assunta come substrato della propria ricerca, in modi e con intento diverso, ha caratterizzato e sostanziato nella storia dell’arte molta della produzione creativa degli artisti. Tra i tanti esempi, si pensi al polimaterismo di Depero, agli assemblaggi degli “scarti” di Kurt Schwitters, ma anche ai “sacchi”, alle “combustioni” e ai “cretti” di Burri, allargandosi ai “cementi” di Uncini, alle prime sperimentazioni materiche di Schifano… Proprio dagli anni Sessanta in poi l’uso di materie extra-artistiche (dal perspex e l’evelpiuma di Sante Monachesi alla plastica e alle tende di Carla Accardi, alla tanta produzione di Pino Pascali, alle mollette per i panni di Renato Mambor, ai metacrilati di Gino Marotta, all’Angeli delle “calze-veli”, a Festa dei coriandoli…) diventa comune tanto da non poter più, in effetti, nemmeno parlare di materie “altre” e “anomale”, nell’arte… Proprio in virtù delle esperienze pregresse nelle arti visive, altro e anomalo non si può considerare, quindi, l’uso di cementi, gesso, calce, stucchi, intonaci e simili sostanze combinate a colle, sabbie, ossidi, tutto mescolato al pigmento acrilico, e dato direttamente sulla superficie pittorica. Con questa modalità agisce il nostro Rodolfo Lepre. Architetto, con un passato intenso nella pittura, adotta quindi elementi a lui familiari nei cantieri come lo sono queste materie dense o sabbiose ma anche come il colore, naturalmente… Questo agglomerato si fa pittorico ed è da lui applicato in maniera gestuale sul campo d’azione dell’arte: diventano, in sostanza, quadro. L’opera che ne deriva è animata da un insieme ordinato che lo struttura, quasi un paesaggio tra l’urbano e il lunare, visto dall’alto, come se si trattasse di una cartografia, una pianta, uno stradario… Certamente, le sue coordinate non appartengono al reale: non v’è traccia di figurazione né di vera e propria raffigurazione, in questi lavori… Un punto di riferimento tratto dal mondo sensibile c’è, ma non è che una parte di quanto lo edifica e lo costruisce: la realtà è fatta (anche) di materia, appunto. Quindi, qualcosa di familiare emerge da questi quadri: non solo per gli appigli all’universo concreto e conosciuto, per quanto emblematico e di rimando, come abbiamo evidenziato, ma anche con agganci all’arte storicizzata. La citazione di Burri, Uncini e degli altri sperimentatori non è, in questo senso, forzata… “L’astrazione non snatura ma inventa un vocabolario” sostituendo una “realtà immaginaria-emotiva, contraddistinta da suggestioni e sensazioni individuali” alla realtà-reale, e lo fa, si capisce, con un linguaggio “vivo, dinamico e drammatico”, dice Lepre, proseguendo: “Non so se questo che faccio è arte; so però, che per me è necessario come lo è confrontarmi con un pubblico attento e disponibile”… Per lui è proprio decisamente insopprimibile trasformare un “obbligo” privato, personale, in azione creativa che si fa, quindi, condiviso; è quasi uno spontaneo, ineludibile bisogno di agire sulla superficie plasmando materia e colori per farne qualcosa di concreto che accordi la poetica alla vitalità e a un certo espressionismo che, del resto, emerge prepotente allo sguardo esterno del fruitore. Come rilevato, questa matericità è gestuale, fisicamente imposta sul piano pittorico, ma allo stesso tempo predisposta entro percorsi compositivi precisi. Ogni opera è, infatti, concepita accogliendo campiture piene di materia-colore dove la composizione si struttura attraverso porzioni sia reticolate sia spiraloidi rese, anche in questo caso, dagli attrezzi del lavoro sul cantiere: mazzette, spatole… Con questi strumenti l’artista cesella profondamente lo strato pittorico spesso, lo organizza con una naturale attitudine costruttiva – abbiamo detto che egli è anche architetto – e davvero sembra richiamare la visone dall’alto di una città immaginaria, territorio non bene identificato e per questo, forse, esemplificativo: fatto di giallo-ocra con percentuali più chiare, di grigi stradali con graffi di viola, di blu, di arancioni caldi, di monocromi agitati da solchi cartesiani… Ogni opera, è, anche, una sorta di trappola-per-la-luce perché, abbiamo detto, la stesura materica porta incisi precisi segni e, dove questi insistono, la luce si insinua, sottolineando il carattere cromatico-luminoso vibrante del quadro ed esaltando il rapporto pieni-vuoti. D’altra parte, non poteva non essere così, nella ricerca di un artista-architetto (o architetto-artista?).