Grondona Stefano

Quel ciuffo di capelli che sempre divide in due parti la fronte di Francis Bacon non vuole forse dichiararci apertamente quale terribile confusione alberghi nella sua mente nel momento stesso in cui egli, con un’audacia che ha dell’impietà, ci impone ambienti e personaggi in maniera così categorica da poter avvalersi anche solamente dell’unica ragione che quella è la sua visione del mondo? Difficilmente capita che un artista fornisca delle soluzioni; egli non può fare a meno di esibire l’angoscia di esistere, consapevole del fatto che soltanto un aumento di sensibilità e la capacità di saper trascrivere lo possono distinguere dagli altri esseri umani, i quali, a modo loro, vivono gli stessi suoi guai. Può capitare che egli nasconda per anni la sua creatività, spesso per intolleranza, col risultato di doverla poi palesare all’improvviso, spinto dall’impossibilità di restare in solitudine, arrivando finalmente a capire che non è tanto importante definire uno stile o motivare ciò che fa, piuttosto è importante che egli riesca a rappresentare crudamente il reale e l’onirico così come li vede, vincendo paure e ambizioni. A volte il pensiero nasce fulmineo nella mente e non dura così com’è neanche per un attimo. È difficile rappresentarlo senza troppe metafore o altre complicazioni che finiscono per offuscare, se non nascondere del tutto, il concetto da cui l’artista è partito. Molte volte, quando me ne sto seduto sul letto a fissare pigramente i piccoli frammenti di pietrisco del pavimento alla genovese che si mischiano fra loro, penso a come riesco ancora a illudermi di ritrovare quella fantasiosa capacità di interpretare il mondo che possedevo quando ero bambino, solo che allora non potevo averne coscienza, adesso essa è un’utopia che sempre più mi trasporta lontano e poi svanisce con quel senso di smarrimento con cui ci lasciano i sogni. Sempre di più sento il bisogno di contraddirmi, di negare quello che faccio fornendo differenti versioni di uno stesso accadimento rivissuto tante volte: ciò che narro è un ricordo perduto nel tempo, un istante ricreato artificiosamente impossibilitato a perdurare, esso è solo una piccola parte di un lungo avvenimento inspiegabile, solamente un frammento, anche se sempre più particolareggiato. In questo mio tatro dell’assurdo gli oggetti si trasformano perennemente e sembrano voler diventare delle cose completamente diverse, essi sono cristallizzati in un continuo movimento, l’improbabilità è la loro ragione di essere, la banalità diventa la caratteristica straordinaria.

Stefano Grondona

Genova 1988

BIOGRAFIA

Stefano Grondona nasce nella periferia industriale di Genova, nel 1952, da una famiglia operaia e trascorre l’infanzia tra i bunker e i cunicoli delle campagne suburbane, affascinato dalla speleologia, ma anche dalla radio, dalla musica e dal cinema. Frequenta il Liceo Artistico, ma decide di abbandonarlo prima del diploma perché insufficiente a soddisfare la sua bramosia creativa e conoscitiva. Intraprende vari lavori che gli permettono di viaggiare, fare esperienze, conoscere la realtà e l’animo umano e, parallelamente, continua a dedicarsi all’arte, in un primo momento solo a disegno e pittura, per approdare poi alla fotografia che segnerà la svolta nella sua carriera artistica, determinando la sua visione in negativo della rappresentazione. A vent’anni è già fotografo di eccezionale bravura, mentre dipinge paesaggi surreali alla Tanguy. Le esperienze di Paolo Gioli e le indagini sul foro stenopeico, oltre alla continua ricerca e sperimentazione, lo portano ad elaborare una tecnica di incisione fotografica in cui, dopo aver realizzato un negativo di cartone, sviluppa l’immagine su carta emulsionata tramite esposizioni consecutive con l’ingranditore. Dalla tecnica di intaglio fotografico deriva la tecnica di incisione di cartoncini che è diventata la sua cifra stilistica distintiva. L’originalità dei suoi lavori, la personalità acuta ed anticonformista catturano l’attenzione di pubblico e critica, facendolo arrivare, poco più che trentenne, ad importanti traguardi internazionali – esposizioni in spazi qualificati in Italia e all’estero (San Francisco, Zurigo, Madrid, Milano) ed annoverandolo tra le promesse degli anni ’80. La molla creativa prende avvio ora dal cinema, ora dalla musica, più di rado dalla letteratura, di impronta sperimentale, espressionista, avanguardista, talora macabra: “ascoltavo la musica di Kryzstof Penderecki che assemblava rumori di fabbrica e ritmi allucinanti e andavo al cinema a vedere i film di Corman, storie visionarie e surreali del genere horror di serie B”. Poi, nel 1989, la carriera viene bruscamente interrotta da vicende personali, psichiatriche, che lo costringono ad un allontanamento forzato dalla scena artistica contemporanea. Il suo genio creativo continua a produrre e svilupparsi tramite il disegno, la pittura ad olio e uno studio continuo, per riemergere con prepotenza a metà degli anni ’90 in una produzione di opere visionarie e realistiche allo stesso tempo. È il 2013, quando, frutto di un incontro fortuito, inizia una stretta collaborazione con la galleria Satura di Genova e il mecenatismo di Mario Napoli gli permette di realizzare una serie di opere che esaltano la sua vena creativa. Come dichiara lo stesso artista, è solo a sessant’anni che sente di aver raggiunto la vera maturità artistica, realizzando quella produzione che lo rappresenta appieno, in cui la totale padronanza della materia gli consente la più libera espressione e la chiarezza nella visione mentale.

I LAVORI PROPOSTI

LA CRITICA

L’eccentrica visione di Stefano Grondona

a cura di Sandro Ricaldone

“Il mondo è diventato una stanza rumorosa. Il silenzio è diventato il luogo magico in cui si realizza il processo creativo”, ha detto David Lynch, uno degli eroi di Stefano Grondona. E il silenzio, appunto, il silenzio degli ambienti e degli oggetti, dominava il suo primo mondo fantastico, le wunderkammern che, alla metà degli anni ’80, hanno segnato la sua comparsa sulla scena dell’arte. Erano stanze raffigurate in prospettive appiattite, tese quasi sul punto di precipitare, popolate di radio mute, di pavimenti minuziosamente decorati, spazio costruiti attorno al vuoto, all’immobilità, all’assenza. Dietro parvenze che accennano all’Art Decò o al design postmoderno di Memphis, si celavano citazioni da Eraserhead (Lynch, ancora), a Munch, e a Bacon nell’assetto distorto del campo visivo. Il procedimento, complesso e raffinato, di cui allora Grondona si valeva, era basato sulla realizzazione – a partire dal disegno – di una serie di mascherine utilizzate per impressionare direttamente, con brevi esposizioni alla luce, una particolare carta fotografica. L’uscita dalla produzione di questo materiale ha portato l’artista a sviluppare una diversa modalità compositiva, peraltro già coltivata in precedenza: la costruzione di lavori tridimensionali, nei quali la sequenza delle mascherine – non più impiegate in via strumentale – si dispone su una pluralità di piani a creare una profondità di campo, dando sfogo, nella conseguita autonomia, ad un coordinato gioco di alternanze cromatiche ed alla flessuosità irruente del tratto. Le nuove opere esposte da Satura – precedute da cicli magistrali dedicati all’universo cinematografico, prima fonte d’ispirazione per l’artista, tra i quali va fatta menzione almeno del lavoro condotto sulla Passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer – si incentrano su tre nuclei tematici principali. L’immagine d’impronta religiosa, anzitutto, rappresentata attraverso la figura di Cristo, colta – al di là dell’esplosione di colore che la pervade senza dissacrarla – in atteggiamenti di sofferenza (implorante, sconsolato, tragico, triste), cui si affiancano due Madonne col Bambino, serrato convulsamente fra dita acuminate. Quindi la suggestione fosca dei racconti di Edgar Allan Poe, nella serie delle Scene dell’Apocalisse. Infine le quinte della Naked city di burroughsiana memoria, costellate di case, di macchine e di animali randagi, sormontate da un onnipresente “lampioncino ignobile”, e le sinuose animazioni di strumenti musicali. Un universo fantastico, questo di Grondona, dove l’inquietudine si fonde con l’incongruo; dove l’aggressività ostile delle sagome affilate si accompagna alla grazia di morbide movenze curvilinee; dove l’intensità del colore dà vita ad un concentrato dinamismo plastico. Una visione, la sua, cui si attaglia impeccabilmente un’altra descrizione di Lynch: “selvaggia nel cuore ed eccentrica in superficie”.

Il negativo nell’arte

a cura di Flavia Motolese

A proposito della condizione esistenziale dell’artista, a cui spesso viene collegato il binomio genio e sregolatezza, è emblematica la vicenda di Stefano Grondona. Figura controversa ed eclettica, la cui prerogativa a distinguersi dal contesto di ricerca contemporaneo non è esternazione di vanità, ma l’ennesima dimostrazione del suo essere visceralmente aderente a ciò che crea: Grondona ha fatto della propria vita un’opera d’arte e delle sue opere la vita. Credo siano calzanti per definire la sua visione le parole che il critico Flavio Caroli dedica a De Dominicis: “Gino era bizzarro, perché la vita è bizzarra. Direi anzi che il suo pensiero più profondo consisteva nell’identificazione, direi quasi nella formalizzazione, delle bizzarrie della vita, che – per lui – coincidevano con il senso della vita stessa.” Quello che si apre è un mondo capovolto in cui realismo e visionarietà si fondono fino a sovvertire le regole. Per capire la produzione di questo artista, si devono ripercorrere le tappe che hanno portato alla realizzazione dei lavori che oggi rappresentano la sua cifra stilistica ed un esempio avanguardistico unico in Italia e forse nel mondo. Appassionato da sempre di disegno, Grondona si avvicina alla pittura e, dopo aver abbandonato il liceo artistico perché insufficiente a soddisfare la sua bramosia creativa, si dedica alla fotografia. Saranno proprio le sperimentazioni tecniche in questo ambito a determinare la sua visione in negativo della rappresentazione. Oltre la fotografia tradizionale, l’artista, anche influenzato dalle esperienze di Paolo Gioli e dalle indagini sul foro stenopeico, elabora una tecnica di incisione fotografica in cui, dopo aver realizzato un negativo di cartone, sviluppa l’immagine su carta emulsionata tramite esposizioni consecutive con l’ingranditore. Da qui deriva la tecnica dell’intaglio di cartoncini e successivo montaggio degli stessi in sequenza che oggi connota il suo lavoro: l’immagine che si ottiene è data dalla sovrapposizione dei vari strati, ma in negativo, poiché Grondona intaglia ed elimina la parte rappresentata, i pieni, realizzando un’operazione di sottrazione. Non solo, la profondità che viene ad acquisire l’opera determina un anamorfismo che ne accentua, esasperandola, la prospettiva interna. Sotto questo punto di vista è evidente anche l’influenza del cinema che permette all’opera di acquisire una sua valenza spaziale. La struttura dell’opera contribuisce alla sintesi perturbante delle figure simulando la normale visione impositiva della pellicola. Obiettivo principale dell’artista è suscitare un forte impatto psicologico che diventa, perciò, simile alla luce che impressiona la pellicola e attiva un meccanismo mentale tra l’opera e lo spettatore. Il suo modo di vedere e di comporre non conosce regole, entrare nell’universo immaginifico di Grondona, significa abbandonare l’ambito delle certezze e fronteggiare ambiguità di visione e, quindi, di comprensione perché l’insegnamento cardine è che non ci deve essere per forza un senso così come accade nella vita. Come testimoniano le sue parole: “Tale è l’enormità delle notizie che mi arrivano dalla superficie del nostro pianeta, tale, appunto, che mi costringe a variare costantemente nella produzione, con periodicità estrema: arrivo a quelli che chiamo degli “apparenti opposti” e cambio continuamente i soggetti;non ho una vera tematica se non la visionarietà.” Nella sua concezione l’arte è evoluzione costante, da cui deriva la ricerca continua di curiose associazioni visive ed inedite invenzioni che stupiscano e destabilizzino, ma nonostante questo ci sono temi che ricorrono come il dualismo amore e morte, l’assurdità dell’esistenza, il confronto con Dio, la violenza, la satira sociale, l’ipocrisia, la miseria della condizione umana, oltre a riferimenti musicali, letterari e cinematografici desunti dal suo immenso bagaglio culturale. Il senso tragico della vita che permea la sua arte lo lega istintivamente alle figure di Bacon, Munch e Van Gogh, che sono riferimento ed allusione in molte delle sue opere. Tutto alla fine converge ad alimentare il dubbio, l’enigmaticità simbolica, la percezione di catastrofe imminente. Grondona mette a nudo, con ironica crudeltà, la consapevolezza che la vita, in realtà, è una condanna.

MOSTRE PERSONALI:

1985 Genova, Libreria Sileno, Radiolatrie foto incise;

1985 Genova, Circolo B.N.L., L’immaginazione senza fili a cura di Sandro Ricaldone.

1986 Genova, Galleria Unimedia, La stanza delle meraviglie;

1986 Milano, CITIFIN, esposizione a cura di Giulio Ciavoliello.

1987 Pisa, Studio Gennai, Memorie fredde a cura di Sandro Ricaldone.

1988 Zurigo, Gallerie Colonie Libere Italiane, presentazione a cura di Sandro Ricaldone;

1988 Genova, Galleria Il Vicolo, I sigilli della visione a cura di Sergio Noberini.

1989 Alessandria, Galleria Caleidoscopio, Pensieri in corsa a cura di Sandro Ricaldone.

1998 Genova, S. Maria di Castello, Museattivo Claudio Costa, Spessori di stupore.

1999 Genova, Museattivo Claudio Costa, Di profondità in profondità.

2000 Genova, Museattivo Claudio Costa, Artismo.

2001 Genova, Biblioteca Berio, ROM.

2003 Montelupo Fiorentino, Sala di Via XX Settembre, Il teatro della mente, mostra antologica.

2014 Genova, SATURA art gallery, L’eccentrica visione a cura di Sandro Ricaldone.

2015 Genova, SATURA art gallery, I quadri hanno gli occhi e mi rodono l’anima a cura di Mario Napoli.

2016 Milano, BOSCOLO Hotel, Absolute a cura di Mario Napoli.

2017 Genova, SATURA art gallery, Il negativo nell’arte a cura di Flavia Motolese.

MOSTRE COLLETTIVE E FIERE:

1986 Genova, Centro Civico G. Buranello, Obiettivi e camere oscure a cura di Enzo Cirone;

1986 Milano, Studio Corrado Levi, Shining a cura di Giulio Ciavoliello.

1987 Genova, Museo di Villa Croce, Giovani pittori in Liguria a cura di Gianfranco Bruno, Viana Conti, Guido Giubbini e Franco

Sborgi;

1987 Albisola, Oratorio S. Maria Maggiore, Passione a cura di Sergio Noberini;

1987 Milano, Studio Corrado Levi, Quaranta giovani artisti.

1988 San Francisco, Museo Italo Americano, Fourteen emerging Italian artist from Liguria a cura di Sandro Ricaldone e Franco

Sborgi.

2000 Conzano, Villa Vidua, La materia disegnata a cura di Sergio Noberini.

2015 Genova, ArteGenova – XI Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea, SATURA art gallery.

2016 Genova, ArteGenova – XII Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea, SATURA art gallery;

2016 Parma, Artparma – IV Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea, SATURA art gallery.

2017 2^ Biennale di Genova – Menzione d’onore.

2018 Genova, ArteGenova – XIV Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea, SATURA art gallery

FONTI: Artadvisory Italia